lunedì 22 novembre 2010

Il mostro nel frigorifero (pt.2) - I wurstel guerrafondai

 Rieccomi qui, più assonnato che mai, sicuro di non esservi mancato troppo...

   Una volta aperta la porta del frigo, scopro con enorme disappunto che il mostro si è eclissato. Sposto il latte, guardo nei cassetti porta verdura, apro la cella ma...niente da fare. Richiudo. Probabilmente stavolta gli ho messo davvero paura. D'altronde lo smaterializzatore a flusso protonico non è mica una pistoletta qualunque (che fortuna quella volta, l'ho comprato con mio padre a una bancarella della Fiera dell'Est, per due soldi, assieme a un topolino, a un gatto, a un cane, a un bastone e molto altro). 
   Ritorno alle mie cose, sicuro che il mostro abbia abbandonato definitivamente il frigorifero. La giornata corre via liscia e il silenzio sembra essere tornato a regnare in cucina. Mi addormento felice, ma durante la notte vengo tormentato dagli incubi. 
    Il frigo è un campo di battaglia. I wurstel si lanciano all'attacco del reparto formaggi al grido di "Alla fattoria di Robiola Osella!!". I malefici stracchini Nonno Nanni, che hanno tradito la famiglia dei latticini, volano alti e bombardano gli ex alleati. Il campo di battaglia è rosso di ketchup, i caduti non si contano: gli gnocchi ripieni Pa.al.ve saltano in aria (come recita la nonna dello spot al nipotino "Amore, sono esplosi i prodotti Pa.al.ve!!"), i tortellini di Giovanni Rana cercano di mettersi in salvo camuffandosi con occhiali e ciuffi di capelli finti, ma vengono riconosciuti e catturati, legati con spaghetti avanzati e spediti ai lavori forzati nell'odiosa Valle degli Orti. I cornetti Algida scendono dalla cella e forniscono aiuto agli assediati, forti del loro grande cuore di panna. I wurstel contrattaccano veloci e i cornetti vengono liquefatti in un attimo..."Voglio l'Asiago!" urla improvvisamente qualcuno, e per il tenero formaggio veneto non c'è via di scampo. Cade trafitto da semini di melograno. Le mine anti-UOVO installate dalle brigate latticine riescono a rallentare l'avanzata di alcuni tuorli kamikaze. 
   Sembra però che il mostro nel frigorifero sia in grado di rigenerare le forze dei suoi implacabili wurstel. Il destino della Fattoria di Robiola Osella e di tutti i difensori sembra ormai essere segnato...(continua..e qualcuno dirà: che palle!)        
 

lunedì 15 novembre 2010

Il mostro nel frigorifero (pt.1)


Abbiamo tutti qualche scheletro nascosto nell'armadio. 
Lo dicono gli esperti, gli psicologi (o i pissicologici, come dice mia nonna), i medium di Telenordest (chiama l'199.123.456, costo 16 euro al minuto, chiedi al mago Anubi quello che vuoi e lui ti risponderà quello che vuoi sentirti dire), le signore dei tarocchi all'antica fiera del Soco, i predicatori del movimento I fantasmi del passato preferiscono i bicamere. 
Ma da qualche giorno ho qualcosa di più serio a cui pensare. 
Altro che scheletro nell'armadio...
Signori, ho un mostro nascosto nel frigorifero!! 
Credetemi. Qualcosa, là dentro, si muove. 
Lo sento, e ogni volta mi dà i brividi.  Perché, si sa, ai brividi non ci si abitua mai.
Con una cadenza di tre, quattro minuti, il mostro si fa vivo.

Tac! (il crepitio leggero della legna nel camino, lo schiocco delle nocche di un bambino)
....
....
TAAAAAC! (il rumore secco di un ramo che si spezza)
....
....
TAC TAAC TAAAAACCC!!! (tre colpi calibro 38 che esplodono rapidi in successione). 

Salto sulla sedia, sul divano, sul letto, sulla tazza del bagno. 
E lui è lì, a pochi metri da me, rinchiuso nel suo freddo tugurio. Si agita, ringhia e schiuma rabbia, scuotendo le catene d'acciaio che gli impediscono di squarciare le sbarre, uscire e venire a cercarmi. 
Se Maometto non va alla montagna, sarà la montagna ad andare a Maometto.
Prendo il coraggio a due mani, mi armo dello smaterializzatore a flusso protonico e mi avvio verso il frigorifero. Mi concedo un attimo, sospiro. Poi allungo la mano e apro la porta...(continua) 

ps: per vivere con maggior pathos la narrazione, immaginatevi una dissolvenza finale alla Beautiful, con il classico crescendo di musica che accompagna l'epilogo della 13.428.678 puntata.  

   

martedì 9 novembre 2010

Mettetevi nei miei panni...anzi, asciugatemeli!

È con non poco imbarazzo che rendo pubblico un mio grande limite! E chiedo umilmente aiuto! Qualcuno di voi ha per caso una tecnica infallibile per asciugare i panni? Tranquilli, non mi sono fumato niente di particolarmente pesante. Ma dovete cercare di capirmi. Non è la prima volta che faccio una lavatrice, con la quale ho un rapporto più che discreto. Ultimamente, però, ho dei seri problemi con il mio stendibiancheria. 
   Arrivo subito al dunque. I panni non si asciugano! Vi chiederete cosa c'entri lo stendibiancheria. Qualcuno di voi mi consiglierà di comprarmi un'asciugatrice. Ma è una questione di principio. Probabilmente lo stendino deve ancora prendere la giusta confidenza con il nuovo ambiente, forse è questione di timidezza. Ma siccome non posso prendermela con l'aria (mi vedete a menare calci e pugni a vuoto?!), lo stendibiancheria è diventato per forza di cose il mio capro espiatorio. 
Lo stendibiancheria non funziona!! 
   La prima volta l'ho messo in salotto, ma lo vedevo un po' spaesato, così ho deciso di fargli compagnia davanti alla tv. Dopo due giorni i panni erano ancora umidissimi! 
Così ieri sera l'ho rinchiuso in bagno per punizione, ho alzato i termosifoni e me ne sono andato a dormire. Stamattina ho aperto la porta, e lui era lì, con le braccia aperte, cariche di odio, quasi volesse stringermi in un abbraccio mortale. Pallido, inerme, ingombrante, mi sfidava con fare altezzoso. 
Ti detesto...padrone...ti detesto...
Avevo qualcosa di più importante e urgente da fare. Se vescica chiama, Gian risponde. 
Ancora una volta per colpa sua, non è stato facile. Per raggiungere il water ho dovuto esibirmi in una sonnolente versione del più famoso ballo caraibico, mentre Chubby Checker intonava dalla camera

Every limbo boy and girl
All around the limbo world
Gonna do the limbo rock
All around the limbo clock 

Espletate le mie funzioni, ho allungato lentamente le dita su un paio di boxer neri di Intimissimi. 
Senza rendermene conto ho socchiuso gli occhi, come l'eroe dei film d'azione che, sudato e tremante, deve disinnescare la bomba in grado di polverizzare in due secondi il pianeta Terra (che poi, questi eroi, sono proprio degli ebeti! Dopo anni ancora non hanno capito che il cavo rosso è sempre quello sbagliato. Ergo, basta staccare l'altro senza fare tante scenate).
Risultato...Boxer bagnati, la bomba è esplosa e sono stati dolori! 
Non tanto per il pianeta Terra, quanto per le orecchie dei vicini di casa. 
Caro stendibiancheria, hai vinto una battaglia, ma non la guerra!!

giovedì 4 novembre 2010

disCONNECTING people (pt.2)



Riassunto della puntata precedente: a parte una scappatella con un Samsung, tutti i miei cellulari sono stati dei Nokia. Ma l'amore non è bello se non è litigarello... 
 
   Al cuor non si comanda, e l'affascinante N95 si dimostrò fin da subito molto più di un semplice chiodo schiaccia chiodo. Fu amore a prima vista. Lo scelsi con la cover beige, me lo diedero con la cover nera. Andai oltre all'aspetto fisico, per me contava solo com'era dentro. Dopo un mese, senza nessun preavviso, nemmeno un battibecco o un'incomprensione, si fece saltare il display. Probabilmente lo avevo trascurato troppo, impegnato com'ero con il nuovo lavoro. Lo schermo divenne un caleidoscopio di cristalli colorati. I ragazzi del calcetto, quella sera, non dissero una parola. Si limitarono a battermi su una spalla, o salutarmi con un buffetto affettuoso. Non poteva finire così. Lo feci operare. Lo salvarono. E vivemmo felici e contenti....
   ...fino all'altra mattina. L'N95 mi ha svegliato alla solita ora, sempre troppo presto per i miei gusti. Non riuscirò mai ad abituarmi alla sua vocina fastidiosa, che cresce di intensità, squillo dopo squillo. Alzati...Alzatii...ALZATII......ALZATIIIIIIIIIII!!! Con spirito masochista, come ogni giorno, ho cercato l'opzione postponi, autentica manna dal cielo per noi del fan club dei "cinque minuti di sonno in più ti cambiano la vita". I cinque minuti sono diventati venti, poi trenta, ma non mi sono accorto di niente finché la mia compagna non mi ha sussurrato dolcemente all'orecchio: "amore, sono le otto e mezza...è pronto il caffè". 
Così si sveglia un uomo! Parole soavi, una carezza e l'aroma deciso di una tazza di Lavazza qualità rossa.
   L'N95 ha sentito tutto, probabilmente ha visto abbastanza, e ha deciso di farla finita. 
 Schermo nero, un triste e funereo sipario calato su 2 Giga di dati. L'ho scosso, schiaffeggiato. Le ho provate davvero tutte. Tolta la batteria, rimessa. Tolta la SIM, rimessa.  Ma non c'è verso. Si accende, ma non si lascia toccare. Il messaggio è chiaro: “ci sono, ma con te non ci parlo!”.
Gran brutta cosa la gelosia...

mercoledì 3 novembre 2010

disCONNECTING people!

   Nokia. Per molti un nome, e anche una garanzia. Così per me, che da anni mi ostino a scegliere i cellulari made in Finland. Perchè sono i più venduti e, a detta di tutti, i più affidabili e resistenti. E poi perché i finlandesi, che narcotizzano nei boschi i giovani per controllare se hanno o meno denti sanissimi, dovrebbero offrire un prodotto di per sè un passo avanti rispetto alla concorrenza. 
   Solo una volta ho tradito casa Nokia. E' stato con un Samsung, forse perché abbagliato dal fascino dell'Oriente, ma la relazione è durata poco. Un battito d'ali di farfalla, un anelito d'amore e poi il figliol prodigo, col capo cosparso di cenere (che bello mescolare parabole e modi di dire!), è di nuovo tornato all'ovile. 
   Mi misi con un minuscolo 6111, che mi dichiarò il suo amore in tutti i modi possibili. Come quel giorno, quando dopo trenta minuti di disperate ricerche, lo recuperai sprofondato in una pozzanghera di acqua e fango, semicosciente, sotto un diluvio di dimensioni bibliche. E lui era ancora lì, e si illuminava debolmente ai richiami che gli giungevano deboli e lontanissimi dal cordless dei miei genitori, come per ricordarmi che "non ci lasceremo mai, abbiamo troppe cose insieme". Se ne andò in un freddo pomeriggio di fine gennaio. Ma lottò fino in fondo e le sue ultime parole furono "un altro Nokia!....". 
   Decisi di accontentarlo. E allora ecco l'N73! Lungo e affusolato, con i suoi tastini microscopici (perfetti per le dita di giapponesini o lillipuziani e decisamente meno adatti  alle mie tozze salsicciotte), mi conquistò all'istante. Tra alti e bassi, ha saputo cadere (tante volte) e rialzarsi, seppur con le ossa (metalliche) sempre più rotte. Poi fu colto da una paresi semipermanente e non rispose più ai miei comandi. Vile! Marrano!
(to be continued...)

venerdì 29 ottobre 2010

Il vecchietto che osserva gli scavi...


   Finchè non lo vedi, non ci credi! Deambula lentamente, trascinando i piedi, lo sguardo aquilino e vigile, nascosto da occhiali in formato "fondi di bottiglia". Le braccia incrociate dietro la schiena, la mano libera che stringe il quotidiano fresco di stampa, l'altra che si aggrappa al polso per non scivolare sotto il pesante fardello di tanti anni sulle spalle. L'anziana figura non conosce stagioni, cerca continuamente una parola da scambiare, un consiglio esperto e disinteressato da dispensare ai più giovani. Stretto nel cappotto quando fa freddo, in maniche di camicia (rigorosamente a scacchi) quando il tempo e gli acciacchi glielo permettono, il "vecchietto che osserva gli scavi" è un tipo buffo e singolare, un cittadino del mondo, un evergreen che non passa mai di moda. Molti comici lo canzonano scimmiottandone i comportamenti, ma non tutti probabilmente hanno avuto la fortuna di incontrarlo veramente.
   A me è capitato la scorsa settimana. Seppure in apparenza confuso nel frenetico formicaio di gente che va e viene nel centro di Vicenza, l'ho incrociato all'altezza del park Verdi. Il mio "vecchietto che osserva gli scavi" portava un cappellino blu da pescatore, calato con forza sulle orecchie che si aprivano  a sventola in una sorta di molle appendice della tesa. Indossava uno stretto impermeabile beige con tasconi (vi ricordate l'Ispettore Gadget?), perfettamente abbinato a pantaloni di velluto marroni e a scarpe di cuoio pesanti. 
   Ciabattava con flemma, ma con l'aria di saperne davvero una più del diavolo. Una rapida controllatina allo stato del cantiere, una breve sosta per esaminare accigliato qualche particolare sporgendosi col busto in avanti, e poi via, borbottando qualcosa e scuotendo la testa.
Pochi secondi mi sono bastati per capire una cosa importante: un giorno vorrei diventare anch'io un "vecchietto che osserva gli scavi". Primo, perché vorrà dire che Madre Natura mi avrà concesso la fortuna di invecchiare; secondo, perché forse, anch'io, avrò ancora qualcosa da dire e da fare nel formicaio della vita che verrà. Amen.       

mercoledì 27 ottobre 2010

Scrivere per vivere?

Gironzolando nei forum mi sono imbattuto in un post davvero interessante. Una ragazza chiedeva lumi in merito a ciò che potesse fare da grande. Il concetto, in soldoni, era il seguente: "ciao, mi piace scrivere, cosa potrei fare nella vita? La copy? L'editor? La giornalista? Aiutatemi, grazie!".
Ora, gli illustrissimi guru della penna (d'oca o a sfera) hanno acceso un dibattito, vivace e articolato, che ha insinuato anche nel mio acerbo cervelletto un quesito esistenziale non indifferente.
Si può scrivere per vivere? O meglio, ci si può davvero guadagnare da vivere scrivendo?
La risposta, come spesso accade, va ricercata nelle sfumature di un concetto più che nella sua univocità.
Che significato diamo al "mestiere di scrivere"?
Una cosa è certa. Dalla mattina alla sera non si diventa acclamati autori di best sellers. Se l'obiettivo è fare breccia nei cuori di milioni di lettori e nei portafogli delle case editrici, l'unica cosa che posso augurarvi una buona dose di fortuna. Troverete moltissime case editrici che apprezzano il vostro lavoro, e vi chiederanno dei soldi per pubblicarlo. Poche che vi aiuteranno veramente. Lo so per esperienze altrui, non perché ci sono passato in prima persona.
Se volete lavorare nel mondo della pubblicità (ed è questo il mio caso), forse avete qualche possibilità in più. Ma non esiste un'effettiva ricetta del successo. Credetemi, l'ho cercata spesso anch'io, ma ahimè, non l'ho mai trovata. Probabilmente gli ingredienti giusti sono il lavoro, lo studio, la dedizione e la passione. Mescolateli, esagerate con le dosi. E leggete tanto, non dimenticatelo. In ogni libro, in ogni articolo, perfino nei titoli dei telegiornali, c'è sempre qualcosa da imparare. Fosse anche imparare cosa NON si deve fare per scrivere bene.
Vi sarete accorti che non ho ancora dato risposta alla domanda iniziale. Giro in largo, ma non arrivo al punto. Avete ragione.
Si può scrivere per vivere? Non lo so. Ci spero. Ci spero tanto. E lo voglio con tutto me stesso.
Ma se non sarà questo il mio futuro, qualcos'altro sarà. Punto.

traslOCO

   Una buona parte della mia vita, circa 19 anni per la precisione, l'ho vissuta sempre nella stessa casa. Estati, autunni, inverni e primavere. Il ciclo delle stagioni (e anche delle mezze stagioni, per chi ci è particolarmente affezionato), sembrava destinato a continuare il suo corso. Ad iniziare e finire silenziosamente, in punta di piedi, come da copione.
   Ma il trasloco, si sa, è sempre in agguato. Ti attende paziente, con il ghigno compiaciuto del bullo a ricreazione, che aspetta dietro l'angolo e non vede l'ora di sgambettarti mentre corri pacioso e beato, incurante del pericolo.
   Attaccato com'ero al velcro delle mie decennali abitudini (mamma lava, stira, pulisce fa da mangiare, papà paga le bollette, la spesa e la tv satellitare), sono stato catapultato improvvisamente in un universo nuovo, pieno di nebulose, dai contorni indefiniti. E allora via, con gli allacciamenti di acqua, luce e gas, sballottato a destra a manca tra gli "allegati H e I" e le firme della "copia a noi destinata" (ma non indicata). Giorni di file chilometriche agli sportelli comunali, di appuntamenti fissati e rimandati con idraulici e elettricisti, di continue telefonate e odiose vocine che mi ricordavano che "i nostri operatori non sono al momento disponibili".
   Mi sono sentito molto animale, nelle ultime due settimane: leone in gabbia, coniglio atterrito, serpente a sonagli, ma soprattutto, per inesperienza ed errori commessi, tanto OCO. E mi si permetta il tocco dialettale in chiusura.